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STORIA
Happiness, quanto costa la felicità

Happiness ha 19 anni, viene dalla Nigeria, è arrivata in Italia appena sedicenne. Ci incontriamo per parlare del percorso che sta facendo, una chiacchierata sui progetti futuri e sulla sua vita oggi. Ma dopo un attimo di esitazione la conversazione diventa sfocata, come se le due lenti puntate su una scena chiara a un certo punto si allontanassero per mettere poi a fuoco due momenti diversi. E così la ragazza torna al passato recente, quello che l’ha portata qui in Italia. “Non posso spiegarti chi sono oggi se non faccio un passo indietro”. Da lì inizia il racconto. “avevo 13 anni quando mia madre ha deciso di lasciare me, mio padre e i miei due fratelli per un uomo più ricco, era stanca di tanta povertà, voleva vivere bene, anche se questo significava lasciare tutto e andare”. Così Happiness abbandona la scuola, deve pensare alla casa, al papà, ai fratelli più piccoli. La preoccupa tanto il papà, perché la madre andando via da casa “ha ferito il suo onore, l’ha lasciato solo”. A Happiness piace la scuola, piace incontrare gli amici, imparare cose nuove. Che vita deve aspettarsi da ora in poi? Forse gli studi e la vita della bambina che era sono ormai lontani, perché in questi casi devi crescere in fretta. Una zia le offre di accoglierla in casa, poteva tornare a studiare, avrebbe solo dovuto aiutare nei lavori domestici. Troppo bello per essere vero, e infatti era un’altra bugia. La zia la sfrutta in casa e anche in strada, fuori il villaggio, per la vendita di oggetti realizzati a mano. 

Intanto la madre la cerca. No, non per sapere come sta. Per dirle che lei sta bene adesso, e comunque non le bastava, voleva che Happiness la aiutasse a stare meglio, la mette in contatto con un uomo che poteva portarla in Italia, “si chiamava L., non posso dimenticarlo” dice. La ragazza ci pensa, inizia a valutare l’ipotesi, “in fondo so fare le treccine – si dice – potrei lavorare così, nel frattempo tornare a studiare”. Happiness non racconta nulla al padre, L. le regala i vestiti, le prepara i documenti, il viaggio. “Ma quanto costa tutto questo?” chiede lei. “Non ti preoccupare”. Ma c’è un’ultima cosa da fare prima di partire, è lo juju. Vanno da un sacerdote, inizia il rito. Lo juju è la maledizione che ti spetta se non paghi il debito, un debito che in genere costa circa 30 mila euro, e si paga su strada, con il proprio corpo. In due settimane la ragazza si trova in Libia. “Ci sono cose che non ti sto raccontando” dice a un certo punto. Happiness è una delle ragazze che ha conosciuto l’orrore dei centri di detenzione. Dalla Libia scappa, sempre tramite L. che si mette in contatto con qualcuno in Italia per farla arrivare qui. Intanto la preparano “devi dire che sei maggiorenne, che hai 19 anni”. E sì, perché se non ammette di essere minore è più facile scappare dai centri e ritrovarsi in piedi davanti una macchina che ti chiede di salire su. Quando allo sbarco le chiedono l’età lei risponde “19” e piange. Glielo chiedono di nuovo “19” ripete, mentre le lacrime continuano a scorrere sul viso. Le fanno di nuovo la stessa domanda. Piange, e piangendo dice la verità “16”. 

Finalmente inizia la seconda vita di Happiness, in un posto che sente essere casa, con persone che le vogliono bene. La madre la cerca qualche volta, la riempie di parolacce, le dice che deve andare in strada, vuole i soldi. Quando trova il coraggio Happiness chiama il padre, che scoppia a piangere e le ripete “dimmi che non hai venduto il tuo corpo, dimmi che non l’hai fatto”. Lei risponde di no, e lui subito “Lo sai, non abbiamo niente ma io ho voi, tu sei la mia principessa e non devi mai fare una cosa del genere”. A 17 anni la ragazza ha ripreso ad andare a scuola, a fine anno si iscrive al primo superiore, ha un fidanzato ivoriano, un tutore che vede ogni fine settimana, è tornata a sognare. Con una maturità che la sua età non dovrebbe conoscere Happiness dice che ciò che siamo oggi sono le scelte che abbiamo fatto, quando abbiamo deciso di non mentire, quando non abbiamo avuto paura di farci aiutare, quando siamo tornati a sorridere. “A te cosa ha fatto tornare a sorridere?” le chiedo. “Le persone che mi sono state vicino, che mi hanno fatto capire che ho attorno tanti che mi vogliono bene, e che potevo ricominciare da qui. Da lì ho immaginato il mio futuro, e doveva essere proprio così, voglio fare anche io la differenza per qualcuno, voglio aiutare le ragazze che vivono quel che ho vissuto io, e farle tornare a credere che la vita può essere meglio di così”.

“Happiness è un nome importante – scherziamo – Tu sei felice?”. Sorride, mi guarda, poi risponde “sì, ma la felicità costa cara, per essere felici bisogna avere coraggio”. 

 

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